Are you “engaged”?

Durante un incendio nella foresta, mentre tutti fuggivano, un colibrì volava in senso contrario con una goccia d’acqua nel becco.

– “Cosa credi di fare?”, gli chiese il leone.
– “Vado a spegnere l’incendio!”, rispose il piccolo volatile.
– “Con una goccia d’acqua?”, disse il leone con un sogghigno di irrisione.
Ed il colibrì, proseguendo il volo,rispose: “Io faccio la mia parte!”

Favola africana

Nella lingua inglese to engage, significa impegnarsi, essere coinvolto nel raggiungimento di un obiettivo, di uno scopo oppure all’interno di un’alleanza.

 
Non a caso, nelle comunità anglofone questa parola viene utilizzata nel linguaggio comune per indicare un impegno che due persone prendono e che ha come fine una solida unione che si tradurrà in matrimonio.

Più in generale, questa parola viene utilizzata in maniera diffusa nel marketing digitale, ma sta diventando una parola sempre più utilizzata anche nelle aziende.

Nei contesti aziendali, infatti, la parola engagement si riferisce al coinvolgimento di collaboratori e stakeholders.

Quando collaboriamo o lavoriamo in un contesto organizzativo, molti sono i fattori che determinano il successo di un progetto o dell’azienda stessa. Il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti è uno di quelli che incide maggiormente nella riuscita di intenti ed obiettivi.

Il più delle volte, la capacità di coinvolgere viene attribuita al leader che, in quanto tale, ha l’onere di attrarre a sé il maggior numero di forze e partner per riuscire nello scopo. Il leader rappresenta colui o colei che è in grado di fare da guida, ispirare e motivare le persone che lavorano insieme.

Questo coinvolgimento non è affatto scontato o di facile realizzazione. Può capitare, infatti, che un disallineamento con il proposito aziendale, oppure problematiche interne, conflitti fra collaboratori o comportamenti ostili e resistenti all’interno del gruppo di lavoro, osteggino la riuscita di un progetto oppure il raggiungimento degli obiettivi di periodo, con il risultato che né l’organizzazione né gli stessi membri del team possono realmente crescere ed ottenere il successo desiderato.

Nelle aziende tradizionali l’assetto gerarchico piramidale e la concentrazione sul profitto e sui risultati sacrificano aspetti più umani ed individuali, che però sono fondamentali quando si lavora in team.

La creazione di un gruppo di lavoro ben assortito, produttivo e di successo rappresenta la sfida più grande per qualsiasi organizzazione.

Prima di diventare un gruppo, infatti, bisogna ricordare che ciascun lavoratore è una persona, un individuo unico e complesso, con i suoi bisogni, le proprie emozioni e convinzioni, con specifiche modalità di azione e personali attitudini alla relazione.

La Scienza del Sé di Sandro Formica, in quanto percorso di auto-consapevolezza, ci insegna quanto sia importante tenere a mente che tutti questi fattori sono imprescindibili e fondamentali per poter entrare in relazione e crescere nella connessione con l’altro in maniera autentica e profonda.

Non esiste una ricetta universale per coinvolgere i membri di un team, ma esistono piccoli accorgimenti e buone pratiche che, se inseriti gradualmente nel contesto organizzativo, possono davvero trasformare la cultura aziendale e condurre al successo ed alla realizzazione del proposito.

Il leader, in questo percorso, gioca un ruolo fondamentale perché è colui che può creare coesione, migliorare il clima aziendale e rafforzare i rapporti interpersonali, rendendo solido il capitale sociale dell’azienda.

A tal fine si può agire a livello trasversale su più fronti:
 

1. ASCOLTO

Se immaginiamo di poter entrare in riunione e, nei primi dieci minuti, avere la possibilità di raccontare un fatto, un evento, un aneddoto, scopriremmo come sarebbe bello poter essere sé stessi ed essere ascoltati.

Sapere che anche sul posto di lavoro ci sono persone a cui interessa ciò che facciamo, o chi siamo al di fuori del contesto lavorativo, quali sono le emozioni che sperimentiamo, le paure che avvertiamo, i sentimenti che proviamo sarebbe persino liberatorio.

Ascoltare, ascoltarsi ed essere ascoltati ci porta a crescere, a lasciare il nostro ego un passo indietro per portare la nostra anima ad espandersi ed il nostro cuore a connettersi in maniera totale ed autentica all’altro.

2. COMUNICAZIONE EMPATICA

Secondo l’Harvard Business Review, il 65% dei lavoratori dichiara di non sentirsi apprezzato e le aziende con bassi livelli di engagement registrano cali del fatturato del 32,7%.
I pensieri di sfiducia e la paura di rivelarsi, o semplicemente di chiedere aiuto nel momento del bisogno sul luogo di lavoro sono una delle cause principali della bassa percentuale di engagement aziendale.

Molto spesso si avverte il posto di lavoro come un ambiente ostile, dal quale stare lontani il più possibile e nel quale offrire un’immagine di sé stessi idonea alle aspettative convenzionali che un contesto aziendale richiede. Se, invece, potessimo vivere la maggior parte del nostro tempo in un luogo dove ci viene chiesto cos’è importante per noi, quali sono i nostri bisogni o quali emozioni sperimentiamo quando varchiamo la soglia del nostro ufficio, cambierebbe ogni cosa.

Poter esprimere i propri bisogni ed essere certi che ci sia qualcuno dall’altra parte interessato ad ascoltarli ci farebbe sentire al sicuro e protetti. Dare e ricevere feedback di riconoscimento, inoltre, ci regalerebbe quel senso di comunità di cui tutti abbiamo bisogno e in cui le specificità individuali, i bisogni e le emozioni avrebbero un valore.

3. GIOCO

Nell’immaginario collettivo l’idea del lavoro è vista come un sacrificio, qualcosa per cui bisogna faticare, per cui è del tutto normale sentirsi stressati o arrabbiati.

Secondo una ricerca Gallup, l’85% dei lavoratori di tutto il mondo è demotivato.Secondo gli studi della Harvard Business Review, inoltre, i lavoratori demotivati sono meno produttivi (18%), meno redditizi (16%), rischiano di avere più incidenti sul lavoro (49%) e si assentano di più (37%). Secondo studi IPSAD e EUROFOND in Europa 40 milioni di lavoratori soffrono di stress da lavoro correlato e, solo in Italia, 11 milioni di persone fanno uso di psicofarmaci.

Al contrario, molte altre ricerche dimostrano che il livello di engagement nei contesti aziendali si alza tanto più il livello di benessere e di divertimento aumenta.

La Scienza della Felicità e la Psicologia positiva, così come le Neuroscienze, ci confermano che il gioco è una competenza e che, in quanto tale, va allenata con costanza e dedizione.

Creare dei momenti di gioco all’interno dell’orario di lavoro, infatti, non farà altro che aumentare la voglia di stare insieme, di condividere momenti ed esperienze e di esplorare le stanze interiori dell’immaginazione.

Il gioco agisce sul miglioramento del clima aziendale, aumenta la motivazione, stimola la creatività, produce ormoni del benessere che si traducono in livelli più alti di produttività e connessioni più ingaggianti all’interno del gruppo di lavoro.

Di grande importanza sono i momenti da trascorrere insieme anche al di fuori del contesto lavorativo. Creare opportunità in cui si conoscono le vite degli altri, infatti, non farà altro che creare connessioni sempre più forti e rendere il gruppo coeso e unito.

4. LEADERSHIP CONDIVISA

Gli argomenti della leadership e della delega sono molto dibattuti in azienda. Il top management tende a “trattenere” a sé la leadership per esercitare maggior controllo sulla base della piramide gerarchica.

Recenti studi sulle organizzazioni positive stanno dimostrando un’inversione di marcia rispetto a questa tendenza e vedono il manager o il leader diventare sempre più positivo e tendere verso una leadership condivisa.

Quando diamo fiducia alle persone che lavorano con o per noi stiamo, in realtà, offrendo loro responsabilità maggiori ma anche la possibilità di restituirci l’immagine che noi abbiamo di loro.

Negli anni ‘60 Douglas Mc Gregor, professore di economia del MIT, ipotizzò che ciascun manager aderisce a due diverse opzioni sulla teoria della motivazione umana: la teoria X, che sostiene che le persone lavorano perché vengono pagate e, se non tenute sotto controllo, smetteranno di lavorare; e la teoria Y che afferma il contrario: le persone lavorano per ragioni intrinseche, si impegnano di più e lavorano meglio se non vengono controllate e se non ricevono ordini, e lo fanno solo per la soddisfazione che ottengono per aver svolto un buon lavoro.

Alla luce delle teorie di Mc Gregor, sta a noi scegliere quale immagine desideriamo che ci venga restituita.

Secondo dati riportati da Bob Chapman, autore di The privilege of Leadership, il rischio di avere attacchi di cuore aumenta del 20% il lunedì mattina.

Se vuoi contribuire anche tu a cambiare questi dati, e sei leader o manager in contesti organizzativi, ti invito a proporre un’attività che vi sorprenderà.

Il lunedì mattina invita tutti i tuoi collaboratori ad indossare qualcosa di strano o strambo che non oserebbero mettere al lavoro.

Il divertimento sarà assicurato!

*articolo scritto per il progetto editoriale della Scienza del Sé di Sandro Formica